Sulle praterie della Laga fino al periferico Monte Pelone Settentrionale


L’ ultimissimo sprazzo di questo torrido fine estate ci vede impegnati in un lungo tragitto sulle creste della Laga, in un ambizioso quanto impossibile percorso che attraverso il Tracciolino di Annibale ci avrebbe dovuto far toccare oltre ai più famosi e conosciuti Lepri e Moscio anche i più anonimi Pelone settentrionale e meridionale. Ormai lo sapete, la corsa ai 2000 per alcuni di noi esige “spazzolare” anche le vette più insignificanti. Ambizioso ed impossibile oltre che ottimistico, vista la distanza che separa le due montagne estreme e visto anche il foltissimo gruppo di amici che si è ritrovato in ordine sparso a Macchie Piane. Nel tracciato di ritorno avremmo dovuto percorrere anche un tratto della famosa, quanto misteriosa, Via Ranna, per aggiungere storia e tradizione al nostro girovagare per monti; peccato ma questo progetto non si concretizzerà. Ma andiamo per ordine. Chi viene da Roma, io, Marco, Fernando, Alessandro ed Elena col loro amico Gianni, chi viene da Anagni, Massimiliano e Cristian, chi da Aprilia, Luca e Giacomo e chi da Oriolo Romano, Rodolfo,; ci si ritrova in ordine sparso nei primi chilometri della Salaria: non riusciamo a compattarci in poche auto per via dei tanti impegni che ognuno avrà nel proseguo delle giornata ed alla fine ne risulta una carovana di auto insolita lungo la deserta striscia di asfalto. All’incrocio per Amatrice ci aspetta Tommaso che come al solito proviene in solitaria da quel di Vasto; un piccolo problema di intesa su quale dovesse essere l’uscita per Amatrice viene risolta nel giro di pochi minuti e ripartiamo verso Macchie Piane dove ad attenderci ci saranno Paolo e Federico, di Ciampino, che hanno pernottato in zona presso degli amici. Alle 7 e 20, quasi puntuali siamo a preparaci allo spiazzo di Macchie Piane; non ci sono Paolo e Federico, proviamo ad attenderli prolungando le chiacchiere ed i preparativi ma non possiamo che decidere di partire dopo venti minuti di attesa. Siamo stati ingenui a non scambiarci i numeri di telefono. Il percorso per un buon tratto è a vista, qual’ora fossero arrivati ci avrebbero visto e lentamente ci avrebbero raggiunti. I 1500 metri di altezza rendono la temperatura dell’aria pungente ma piacevole, il cielo e l’assenza di vento promettono comunque una bella giornata estiva, forse anche troppo calda visti i chilometri che ci attendono; partiamo in ordine sparso, sulla prima radura, in leggera pendenza a puntare la dorsale contraddistinta da una fila di ordinati alberi che delinea la naturale linea di salita al Sevo. Per qualcuno di noi il territorio è familiare, per altri nuovo; i primi guidano alla ricerca del famoso Tracciolino di Annibale dove la leggenda vuole sia passato il condottiero per scavalcare la dorsale montuosa e sorprendere gli eserciti romani; dove invece qualcuno di noi, rivisitando le leggenda e la storia, ha visto il condottiero in una più veloce e diretta scorciatoia verso una fumante amatriciana. Era chiaro che le possibilità di non rintracciare il sentiero era pressoché nulla, ma di certo non si è facilitati da indicazioni in luogo. Segnavia praticamente zero. Dal Tracciolino alcuni anni fa ero stato di ritorno, ma era inverno, la neve aveva “annullato” il territorio, per cui ora mi rimaneva solo una vaga indicazione geografica legata alla pendenza della montagna. Saliamo la prima costa, il sentiero è evidente fino ad una sorta di incrocio di sentieri; a nord una traccia di erba calpestata che si dirige verso le Vene e Macera della Morte , in salita, davanti a noi una direttissima verso la cima del Sevo e a sud, un sentiero evidente che traversa a mezza costa; non può che essere il Tracciolino. Dodici persone, nelle dolci pendenze del sentiero, lungo i sinuosi tornati che seguono il perimetro del Sevo fanno presto ad allungarsi. I primi forse sono solo presi dagli obiettivi in alto, il viaggio in cresta, le 4 vette; dietro invece si formano gruppi che riempiono di cicaleccio i silenziosi pendii e che cercano di catturare con le foto le tante formazioni rocciose che si incontrano e che scendono ripide all’interno delle poco accentuate gole del Sevo. Tutti immaginiamo salti d’acqua da quelle rocce nel periodo dello scongelamento delle nevi e tutti ci ripromettiamo, come sempre, di tornare il prossimo anno in tarda primavera. Qualche sosta per ricompattarci qua e la e raggiungere il Vado di Annibale, la sella tra il Sevo ed il Lepri, già a più di cento metri sopra la soglia dei 2000, è stata cosa semplice e poco faticosa. Il sentiero è davvero per tutti ed è piacevolissimo; da Macchie Piane, a giusto passo sono più o meno 90 minuti di piacevole passeggiata dopo aver superato un dislivello di 600 metri circa. L’affaccio al Vado è aereo, usciti dalla conca chiusa agli orizzonti, improvvisamente lo sguardo raggiunge il mare; la valle, boscosa, profonda e chiusa tra i crinali del Pizzitello e del Moscio, la Piana dei Cavalieri sulla carta, conduce ed accompagna lo sguardo verso la Montagna dei Fiori e Monte Campli, anche detti Monti Gemelli, le montagne di Ascoli e Teramo, e dietro la linea appena percettibile del mare. Nelle cresta che abbiamo davanti a nord est, che scende degradante dal Lepri pensiamo di intravedere, nell’ultimo tondeggiante promontorio, il nostro primo obiettivo il Pelone settentrionale; prendiamo per pochi metri la cresta del Lepri e poi tagliamo decisamente ad est entrando nella valle sottostante, il Peschio Mercatello sulle carte; il sentiero scende, si tiene a mezza costa ed oltrepassa delle importanti e curiose formazioni rocciose, dei piani carsici pieni di grotte ed anfratti; intercettiamo lungo il sentiero un’enorme masso calcareo, leggermente a tetto dove scorgiamo scritte quasi “rupestri” che datano fino allo due secoli indietro; se non sono burlonerie sono di certo le “firme” dei pastori che in questa zona hanno fatto la storia. Nel punto più basso della nostra “scorciatoia” superiamo il Rio Castellano, un filo da acqua che scende dalla conca rocciosa che nasce proprio sulle falde della cima del Lepri; è naturale per tutti rimandare l’appuntamento anche con questo torrente, e con le numerose cascate che forma nel percorso più a valle, ai momenti di maggior portata della prossima primavera. La valle scende tra salti di roccia, segno importante della significativa presenza dello scorrere dell’acqua in certi momenti dell’anno ma noi tagliamo i pendii erbosi con un lungo traverso fino a raggiungere la cresta in prossimità del “nostro” Pelone. Già, nostro e solo nostro, perché una volta sulla cresta ci rendiamo immediatamente conto che la vera cima è quel mammellone insignificante a più di mezz’ora di cammino ancora. Meno male che gli orizzonti si sono spalancati ulteriormente, altrimenti la delusione avrebbe trionfato. I Sibillini sono a vista, scoperti, bellissimi, le Montagne dei Fiori sembra di toccarle e la prospettiva del Lepri e del Sevo assume ora continuità di cresta, bella e lunga, troppo lunga, a dire il vero, se si continua la linea fino al Moscio; è qui che molti di noi iniziano ad avere i primi dubbi; col Pelone settentrionale ancora lontano da raggiungere e che ci porta fuori completamente dal percorso, con quella cresta lunghissima che dovremo ripercorrere al ritorno fino al Lepri l’idea di riuscire ad arrivare al Moscio solamente, si fa terrore. Ma li siamo e la cosa migliore da fare è raggiungere quella lingua di terra in cresta che lentamente scende, che si fa sella profonda e che risale sull’ultimo tondeggiante promontorio erboso. Una cresta che vira leggermente a sud est e che termina sui 2057 metri del Pelone settentrionale. La metà di noi, quelli che non collezionano le vette, si accontentano di essere giunti fin li, sosteranno un po’ per rifocillarsi e per godersi il panorama certi che non torneranno più in quei crinali e riprenderanno lentamente verso il Lepri. Gli altri , io, Marco, Luca, Giacomo, Rodolfo, Fernando e Tommaso proseguiamo per mettere la nostra “x” su questo 2000. Non è certo una montagna degna di nota, erbosa fino al suo culmine per altro completamente tondeggiante, nessun segno di roccia, di ometto di vetta, di croce. Un luogo insomma, senza un simbolo; ed è per questo che Tommaso, il nostro Sguardoaovest si incaponisce a crearne uno e a farsi ritrarre con una croce posticcia formata dai suoi bastoncini, dopo aver ricordato il suo rimpianto per non aver raggiunto la Cipollara in una occasione del tutto simile. Con Fernando, il nostro Abruzzotreking, che si presta a ritrarlo andranno a formare una delle scene più esilaranti che abbiamo vissuto in montagna; per Sguardo i bracci della croce non sono diritti quando va a riguardare la foto scattata, si “becca” col fotografo reo di tacere e non suggerire pose più adatte al momento, Abruzzotreking intanto apostrofa nel suo romanaccio stretto l’abruzzese recalcitrante alla sua arte da fotografo consumato, e così via per cinque minuti. Chi ci guadagna è la platea, il resto del gruppo fin li arrivato che ringrazia i due inconsapevoli attori per aver dato un motivo per ricordare il Pelone Settentrionale. Sguardo , Abruzzotreking, ci avete ricordato davvero le vecchie coppie comiche che ci hanno accompagnato nell’infanzia, vi ricordate Gianni e Pinotto? Dopo la scenetta e la solita foto di vetta del luogo non luogo, speriamo che lo sfondo testimoni che eravamo proprio sul Pelone, non rimaneva che ripercorrere quanto fatto ed inerpicarsi sulla cresta fino al Lepri. Quattrocento metri da percorrere su un tratto lunghissimo di cresta, prima lenta a salire e poi con un ultimo strappo micidiale. I nostri amici erano già disseminati in ordine sparso sulle pendici dello strappo finale quando noi superiamo la sella e riprendiamo il sentiero sulla costa, e proprio mentre con passo veloce cerchiamo di recuperare il tempo perso nella lunga deviazione al Pelone i dubbi e le riflessioni di prima sulla possibilità di chiudere il progetto iniziano a diventare proposito di rinuncia . La cresta dal Lepri al Moscio non è cosa da poco, è bellissima, panoramica ed aerea ma non si può certo dire che sia un tratto breve e veloce da coprire, dal Moscio al Pelone Settentrionale c’è un altro tratto di cresta non lunghissimo ma di certo più pesante per i chilometri e i dislivelli che si andranno a sommare una volta sul posto, Luca ed il padre dovranno essere a Macchie Piane entro le 17 per tornare a Roma velocemente, e molti del gruppo, di certo qualcuno che non ha raggiunto il Pelone, non vorrà sottoporsi ad una altro estenuante quanto inutile massacro; mettiamoci anche lo stress da prestazione in lotta con l’orologio che farebbe diventare la giornata una missione e non più una piacevole passeggiata ed il cambio di programma viene scritto lungo le pendici dell’attacco al Lepri. Da quel momento gli animi si placano, il ritmo diventa da passeggiata e le riflessioni sulle tante cose che ti vengono in mente mentre cammini diventano spunto di discussione col compagno di escursione. Nessuno recrimina sul cambio di programma, tanto meno quando lo comunichiamo agli amici che raggiungiamo in vetta; quasi fosse una speranza, un desiderio nascosto e silenzioso in ciascuno di noi che si avvera senza essere nemmeno messo ai voti. Insomma, lo spirito del gruppo sulla cima del Lepri si è manifestato con la massima semplicità e con la condivisione assoluta, che fa di questo gruppo, appunto, Aria Sottile. Questo cambio di programma ha permesso di stazionare in vetta per quasi un’ora, di respirare l’atmosfera rilassata degli amici, di scherzare e di godere del magnifico panorama a 360°. Marco è Fernando hanno issato la bandiera di Aria Sottile sulla croce e favorevole il leggero vento che soffiava da ovest ci ha tenuto compagnia per tutta la permanenza. E’ stato un bel momento guardare l’attenzione di tutti verso il gesto dei due, e quella successiva di godere degli schiocchi al vento della bandiera e del tenerci a farsi fotografare mentre si stendeva. Stava uscendo l’anima di questo gruppo, e quelle tre piccozze per ciascuno di noi cominciano davvero ad avere un significato. E’ stato un bel momento. Come bello è stato per me, vorrei tanto che lo fosse stato per ognuno di noi, quello atteso da due giorni, da quando la notizia della morte di Walter Bonatti ha scosso il mondo della montagna a tutti i livelli. La nostra foto di vetta, un gruppo folto come quasi mai di 12 amici, sotto il simbolo delle tre piccozze che sventolavano al vento ed uno striscione a salutare per sempre il grande uomo che è stato Walter. Anche i saluti ad Aria Sottile trovato nel libro di vetta da parte di due recenti conoscenze , Marina ed Elena, incontrate sulla Vetta Orientale del Gran Sasso è stata una conferma del grande clima di amicizia che si andava creando dentro ed intorno ad Aria Sottile. Terminati i momenti “ufficiali” ci siamo lasciati andare ad un po’ di dolce far nulla; cibo, scherzi, chiacchere, foto, progetti per chiudere il conto col Moscio ed il Pelone Settentrionale, qualcuno ha “pennicato”, fino al togliere le tende. Penosamente perché la cima del Lepri è un punto dei nostri Appennini magnifico soprattutto con una giornata dalle condizioni meteo così favorevoli. Chi doveva far rientro a Roma velocemente approfittava del cambio di programma per anticipare il ritorno, chi invece aveva ancora tempo da spendere guardava al Sevo la di fronte con occhio pieno di aspettative. Solo il pensiero è più veloce dell’agire ma in questo caso la decisione di variare ancora la giornata ha sfiorato la performance. Riprendiamo a scendere, è veloce la discesa fino al vado di Annibale dove ci salutiamo con chi decide il ritorno a Roma e dove ci vediamo raggiungere da due che prima stavano muovendo i primi passi in direzione Sevo e poi invertendo la direzione ci vengono decisamente incontro. Tutti abbiamo pensato a Paolo e Federico, i nostri nuovi amici che si dovevano aggregare la mattina, ed in effetti proprio loro erano; dei problemi li hanno distolti dal poter essere all’appuntamento a Macchie Piane ma la loro determinazione li ha comunque fatti salire per cominciare a conoscere il territorio ed alla fine la concomitanza delle tante decisioni ha favorito l’incontro, per di più in quota. Bello da ricordare, i primi ad aggregarsi a noi in questa maniera così bizzarra. Benvenuti tra noi Paolo e Federico; saranno poi con noi durante l’attacco al Sevo. I sentieri si dividono, chi scende il Tracciolino e chi sale il ripido spigolo Sud del Sevo. Si fa sentire la pendenza come si fanno sentire i tanti chilometri sulle gambe; l’andatura rallenta, le soste si moltiplicano ma alla fine l’imperiosa croce della montagna ci accoglie. Io, Tommaso, Fernando, Marco, Massimiliano, Cristian, Paolo e Federico, la festa si ripete. Cambiano le prospettive ma i paesaggi sono sempre immensi; i Sibillini sembrano ora essere a portata di mano, tutta la cresta est ed ovest del Vettore fanno sognare altre escursioni, Castelluccio, microscopico ma evidentissimo domina la sua piana e nitida appare la sagoma dell’Italia costruita con gli alberi sulle pendici del Pian Grande. Ci è voluta la costanza di tutti per farla localizzare a Tommaso; era troppo impegnato a dar fondo alle sue scorte alimentari. Interminabile era la sua “zavorra” di panini che ha fatto dubitare Fernando sulla voglia di permanenza di diversi giorni in quel della Laga da parte di Sguardo. Il tempo volava veloce, la luce si affievoliva e prendeva ormai i connotati di quella autunnale ma la quiete del momento, tutto ciò che avevamo intorno, invitavano a tutto, tranne l’alzata delle tende. Inevitabile invece diventava il ritorno; la Laga è lontana da tutto ed i viaggi di ritorno sono altrettanto impegnativi. Dal Sevo, soprattutto dal suo versante ovest, si sa, non si scende, si rotola, e come tutte le volte anche in questa, la discesa è stata una sorta di caduta libera. Abbiamo coperto i 900 metri di dislivello in poco più di un’ora; intorno alle 17, dopo aver superato 1600 metri di salite e circa 17 chilometri di percorso non rimanevano che i saluti, anzi gli arrivederci al 1° di Ottobre quando speriamo, si consacrerà, l’uscita più voluta, più attesa, più cercata da tutti, la salita al Corvo. Un grazie a tutti per aver reso anche questa giornata una giornata speciale, e non solo di montagna!